Oltre l’ESG: due prospettive integrate sulla finanza sostenibile e l’economia circolare


L’economia circolare è una leva essenziale per affrontare crisi ambientali e scarsità di risorse. Ma il sistema finanziario è pronto a sostenerla? Due recenti studi cercano di rispondere, offrendo spunti concreti per superare i limiti attuali delle metriche e dei modelli di valutazione.

Nel primo lavoro, attraverso una revisione sistematica della letteratura, analizziamo come le imprese che adottano modelli di business circolari gestiscono i nuovi rischi specifici (tecnologici, normativi, di filiera, di flussi di cassa), e come questi vengano considerati dal sistema bancario. Il risultato è netto: da un lato, le imprese non hanno ancora sviluppato processi adeguati di gestione del rischio; dall’altro, le banche non integrano criteri circolari nei propri sistemi di valutazione del merito creditizio. Un limite centrale risiede nei criteri ESG attualmente in uso, che – seppur sempre più adottati – risultano spesso opachi, incoerenti e inadeguati a rappresentare le specificità dei modelli circolari, questo porta le banche a valutare i modelli di business circolari come finanziariamente più rischiosi rispetto a quelli lineari, proprio perché profondamente diversi, generando  una valutazione distorta del merito creditizio e ostacolando l’allocazione efficace del capitale. Di conseguenza, ciò che emerge è che queste due entità – imprese e banche – pur essendo entrambe fondamentali per raggiungere obiettivi di sostenibilità, non dialogano tra loro, operano in modo autonomo e disallineato. Questo mancato coordinamento mina l’efficienza dell’ecosistema finanziario e rallenta la transizione verso un’economia più resiliente.

Da qui nasce il secondo studio, con l’obiettivo di costruire un indicatore in grado di misurare la performance ambientale (compresa quella circolare) in modo oggettivo e comparabile. Il nostro approccio si basa su un concetto mutuato dalla biologia che descrive come certe caratteristiche fisiche o funzionali variano in base alla dimensione. Applicata alle imprese, questa teoria consente di valutare l’efficienza ambientale (emissioni, consumi, rifiuti, acqua) tenendo conto della scala economica. Abbiamo così sviluppato un indicatore composito e lo abbiamo testato rispetto all’accesso al credito sindacato: le imprese che risultano più sostenibili – in modo scalato e oggettivo – ricevono in media maggiori finanziamenti. Questo suggerisce che strumenti basati su dati reali, teoricamente fondati e replicabili possono supportare una finanza più informata, equa e orientata alla sostenibilità reale.

La lezione è chiara: senza una gestione consapevole dei rischi circolari, criteri di valutazione adatti e soprattutto una relazione strutturata tra banche e imprese, la finanza rischia di restare indietro rispetto alle sfide della transizione ecologica.

Nadia Ricci, Università degli studi di Padova e Università Politecnica delle Marche