Per un weekend alla moda…sostenibile


Questa settimana dal 20 al 26 aprile si svolge in tutto il mondo la Fashion Revolution Week, una campagna promossa dal movimento internazionale Fashion Revolution per incoraggiare un maggior rispetto dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori nell’industria dell’abbigliamento. L’iniziativa si svolge ogni anno in corrispondenza dell’anniversario del crollo del Rana Plaza, un enorme edificio situato a Dacca, in Bangladesh, con stabilimenti tessili che rifornivano numerosi marchi internazionali dell’abbigliamento. Il 24 aprile 2013 un cedimento strutturale provocò la morte di oltre 1.000 persone e ne ferì più di 2.000.
Da allora l’industria della moda ha intrapreso un importante percorso per ridurre gli elevatissimi impatti sull’ambiente e per garantire più tutele ai lavoratori, in particolar modo agli impiegati dei laboratori nei Paesi in via di sviluppo. In questi mesi l’emergenza sanitaria e la sospensione delle attività produttive stanno causando nuovi problemi al settore tessile e gli impiegati nelle catene di fornitura sono esposti a minacce ancora più pericolose. Ne abbiamo parlato in questo post.
Per questo weekend vi proponiamo una serie di attività da fare a casa per approfondire i meccanismi di funzionamento della moda, per essere più consapevoli su cosa indossiamo ogni giorno e per scoprire come rendere più sostenibile il nostro guardaroba.

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Per saperne di più

Le attività di produzione, distribuzione e consumo che ruotano attorno all’abbigliamento coinvolgono circa 75 milioni di persone in tutto il pianeta; le attività manifatturiere valgono  $2.400 miliardi.Gli impatti ambientali e sociali sono significativi. Eccone alcuni:

  • Il 10% delle emissioni di gas a effetto serra sul pianeta è causato da attività legate al settore dell’abbigliamento.
  • L’industria della moda è la seconda al mondo per consumo di acqua: per fabbricare una T-shirt ne occorrono 2.700 litri, più o meno quanta ne beviamo in due anni e mezzo. La produzione del cotone richiede un impiego massiccio di risorse idriche: al confine tra Uzbekistan e Kazakistan i canali di irrigazione che approvvigionano le coltivazioni di questa pianta hanno prosciugato in cinquant’anni il Lago d’Aral, un tempo il quarto al mondo per superficie.
  • Il 20% dell’inquinamento delle acque in tutto il mondo è provocato da attività legate alla moda. Uno dei problemi principali è rappresentato dalle tecniche di tintura: le sostanze chimiche adoperate negli impianti spesso vengono scaricate direttamente nei fiumi o in mare. Le microplastiche sono un’altra fonte di inquinamento: il lavaggio di abiti in fibra sintetica rilascia particelle di materiale plastico (le microplastiche, appunto) che dal cestello della lavatrice finiscono quasi completamente in mare: in un anno la quantità sversata è pari a 50 miliardi di bottiglie di plastica.
  • Dal 2000 al 2014 l’acquisto di indumenti è aumentato del 60% e la durata media di uso si è dimezzata. Ogni anno l’85% del materiale tessile prodotto finisce in discarica. In pratica un camion al secondo.
  • In Asia l’abbigliamento impiega più di metà della forza lavoro globale del settore (40 milioni di persone su 75 milioni): oltre il 50% degli impiegati è rappresentato da donne, che spesso guadagnano salari ampiamente inferiori ai minimi di base stabiliti dalla legge e ancora più bassi se considerati in rapporto alla cifra necessaria affinché un lavoratore soddisfi i propri bisogni di base. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro tra 2014 e 2015 in Bangladesh il 53 dei lavoratori tessili guadagnava meno del salario minimo legale.

In questo articolo potete trovare questi e altri dati con grafici e fonti.
Per saperne di più potete guardare questa Master Class di Marina Spadafora, stilista e coordinatrice di Fashion Revolution Italia.
(Trovate lo spot di Fashion Revolution a questo link).
Nel video potrete seguire anche la presentazione della Revolution Map, che localizza diverse realtà della moda sostenibile in Italia. Tra i settori mappati: vintage, upcycling (cioè le attività che contribuiscono alla riduzione degli sprechi attraverso soluzioni di economia circolare); su misura e artigianale; equo e solidale; rispetto dell’animale; eco-shop (negozi e siti e-commerce che selezionano brand sostenibili); materiali e produzione sostenibile.

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Da vedere

The True Cost
Girato in diversi Paesi, dalle passerelle più famose ai quartieri più poveri, con interviste agli influencer più importanti del mondo, come Stella McCartney, Livia Firth, Vandana Shiva e molti altri, il documentario guida alla scoperta degli impatti ambientali e sociali della “fast fashion” (o moda veloce), un settore del mercato costituito da aziende in grado di produrre abiti e metterli in commercio in tempi veloci e a prezzi ridotti.

Fashion Victims
Un documentario sulle storie di sfruttamento nei laboratori tessili in India.

River Blue
Un approfondimento sull’inquinamento dei corsi d’acqua causati dalle attività legate all’abbigliamento.

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Da ascoltare

Il sito web Solo Moda Sostenibile propone una serie di podcast per approfondire tendenze, problemi e soluzioni sostenibili nel settore della moda.

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Per conoscere meglio il nostro guardaroba

L’associazione Dress The Change propone una guida semplice ed esaustiva sulle caratteristiche dei principali tessuti in commercio. Due gli obiettivi: incoraggiare scelte d’acquisto più consapevoli e imparare a usare, lavare e riparare i vestiti nel modo più efficace per farli durare a lungo.

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Per dare una seconda vita ai vestiti

Ecco alcune idee per salvare dalla spazzatura gli abiti che non usiamo più.